Se
penso a Nino Cannella, critico e autore della parola scritta, non posso
che elogiarne le qualità di distinzione e d'efficacia espressiva; e se penso
a lui come artista e parlatore d'arte confesso d'esser totalmente affascinato
dalla fluidità della sua loquela, che non è soltanto eloquente loquacità,
ma anche capacità introspettiva e rara facoltà di recepire ogni intimo aspetto
dell'arte, attraverso il suo argomentare sull'arte degli artisti a lui cari
e sulla sua in particolare, standosene fuori, appositamente estraniandosene,
nella sua introiezione. L'arte gli resta dentro, lo informa, diventa suo
nutrimento, e lui la trasforma, accogliendola in sé, ma con quel distacco
sommo proprio del gran regista e quando ne parla e quando ne scrive e quando,
direttamente, opera sulla tela. Anzi è fondamentale, anche nell'espressione
del colore, del segno, nella sua pittura, ogni altra pittura che la sustanzia
e, in essa, lui sembra voler continuare il proprio percorso oratorio; in
essa cioè sembra confluire il percorso della parola detta, con una densità,
con una forza, con una solidità, come intuisce Paolo Sirena, "perfino" maggiori.
Efisio Cadoni
Terzonovecento segue un andamento cronologico che evidenzia l'unità di stile ma anche le curiosità del mezzo pittorico di un artista che si proclama un solitario. Nino Cannella dichiara, vibrante e austero, che per lui la pittura è vita e respiro. Ha profonda conoscenza delle tecniche pittoriche e altrettanta padronanza di un mestiere che, pur nell'appartata Guspini, non gli ha impedito idealmente il confronto coi contemporanei. Rivendica del resto, una "unità etica" che non contrasta con la varietà tematica delle sue opere, nè con le angolazioni della sua ricerca.
Alessandra Menesini - L'Unione Sarda